Come sta Vatnajökull? Passato, presente e futuro del ghiacciaio più grande d’Europa
Un contrasto di colori che attrae comitive di turisti da tutto il mondo. Un paradiso per la fotografia di paesaggio. Jökulsárlón, il più famoso lago proglaciale d’Islanda, nonché il più vasto e profondo di questo genere sull’isola, sorge circa 250 chilometri a sud est di Reykjavík, nel versante meridionale del Vatnajökull. Una sottilissima fascia costiera di sabbia nera basaltica, di origine vulcanica, separa le sue acque color blu e smeraldo dall’irrequieta immensità dell’oceano Atlantico. Percorrendo la Hringvegur, la principale strada islandese, non ci sono alternative: vi imbatterete nella sua magnetica bellezza. Il lago è costellato di iceberg variopinti che si originano ben sette chilometri più a monte, dai fragili seracchi che emergono dall’acqua e che delimitano la vasta fronte del ghiacciaio Breiðamerkurjökull. Inoltre, grazie ai suoi 18 chilometri quadrati di estensione, un giro in barca sul lago, facendo slalom fra quei grandi blocchi di ghiaccio galleggianti, è un’attività da non lasciarsi sfuggire nelle soleggiate giornate islandesi. Ma se vi dicessi che soltanto poco più di un secolo fa, a fine ‘800, non avreste visto proprio nessun lago, a nord di quel tratto di costa?
Grandi iceberg galleggiano nel vasto lago Jökulsárlón durante una giornata caratterizzata da fitte precipitazioni piovose. Islanda. Marco Franchi, 2019.
Lo spettacolo odierno offerto da Jökulsárlón, infatti, è uno dei più evidenti effetti del riscaldamento globale in Islanda. Appare intoccabile nella sua austera immensità, ma la criosfera del pianeta subisce in gran misura le manifestazioni causate del cambiamento climatico antropico globale. In Artico, la velocità con la quale questi mutamenti si verificano è doppia rispetto alle altre zone del pianeta. l’Islanda, in particolare, sta vivendo la sua più rapida trasformazione da secoli e millenni; metamorfosi che sembra destinata ad accelerare. Per caratteristiche, l’isola del fuoco e del ghiaccio, dove la rabbia dei vulcani si scontra con la fermezza dei ghiacciai, si rivela un luogo ideale per gli studi della criosfera e degli effetti a essa causata dal riscaldamento globale. Un ghiacciaio su tutti permette ai ricercatori di studiare le relazioni fra ghiaccio e clima: il Vatnajökull. Non è soltanto un ghiacciaio il Vatnajökull, ma “il” ghiacciaio. Coi suoi 3200 km3 di volume, è la cappa di ghiaccio più grande d’Europa. Il ghiacciaio si estende su un altopiano di origine vulcanica fra i 600 e gli 800 metri sul livello del mare, con uno spessore medio di 400 – 500 metri, che sfiora i 1000 nei punti più spessi. Ma ciò che lo rende speciale, per la ricerca glaciologica soprattutto, sono il suo elevato numero di ghiacciai vallivi di sbocco nel suo perimetro e la sua particolare sensibilità ai cambiamenti climatici.
William Lord Watts, esploratore inglese vissuto a cavallo fra XIX e XX secolo, non si sarebbe probabilmente immaginato i cambiamenti che nel corso del secolo successivo avrebbe subito il Vatnajökull, mentre lo attraversava per la prima volta nella storia nel corso della seconda meta dell’800. Ma il suggestivo lago proglaciale di Jökulsárlón è solo una fra le più vistose trasformazioni afflitte al ghiacciaio dal cambiamento del clima. Dall’inizio del XXI secolo, alla base di quasi tutti i ghiacciai meridionali di sbocco del Vatnajökull si sono formati laghi proglaciali di varie dimensioni, e quelli preesistenti hanno aumentato la loro dimensione. Dalla fine della piccola era glaciale, il periodo storico compreso fra la seconda metà del XIV secolo e il XIX secolo – che vide un notevole abbassamento delle temperature medie globali – il Vatnajökull ha perso circa 400 km3 di ghiaccio, e la maggior parte dei ghiacciai vallivi si è ritirata di diversi chilometri. Le testimonianze di questo declino, lento solo in apparenza, sono offerte dall’alternanza, in rapida successione una dopo l’altra, delle morene frontali dei ghiacciai. Come dune detritiche in un deserto freddo e inospitale, hanno trasformato gli ambienti limitrofi a questi saggi bianchi e sofferenti in uno dei luoghi dove la percezione degli effetti del cambiamento climatico trova oggi massima espressione.
Il ghiacciaio di sbocco Fláajökull scende lentamente a valle dagli altopiani vulcanici che sorreggono l’immenso Vatnajökull. Nel suo versante occidentale, coperto parzialmente dalle nubi, il gruppo montuoso Heinabergsfjöll si innalza verso nord, dove giace dormiente, sotto uno spesso strato di ghiaccio, il vulcano Breiðabunga. Islanda. Marco Franchi, 2019.
Fra i principali elementi utilizzati dai ricercatori per determinare lo stato di salute dei ghiacciai troviamo la ELA (Equilibrium-Line Altitude). La linea di equilibrio dei ghiacciai è la quota che separa la zona di accumulo di un ghiacciaio – dove la neve raccolta nella stagione fredda si conserva anche in estate fino a tramutarsi in ghiaccio – da quella di ablazione – area nella quale la neve caduta scompare completamente a causa dell’aumento delle temperature estive – dove il ghiaccio fonde. La ELA dipende dalle temperature, dalla quantità di precipitazioni e dalla morfologia del paesaggio circostante, ma è molto sensibile alle variazioni climatiche: si alza o si abbassa di quota a seconda delle oscillazioni delle temperature. A causa delle fluttuazioni climatiche a breve termine, la ELA può variare di anno in anno, ma un’analisi storica dei rilevamenti sui vari ghiacciai è in grado di mostrare le grandi alterazioni che nel corso dell’ultimo secolo ha subito a causa dei cambiamenti climatici.
Nel Vatnajökull, oggi, la ELA si colloca fra i 1000 e 1100 metri di quota nel versante meridionale e i 1300 metri nel versante settentrionale. A cavallo fra XIX e XX secolo, nel versante meridionale, la ELA era probabilmente 300 metri inferiore alla quota attuale. Il limite delle nevicate si è alzato, riducendo notevolmente la zona di accumulo del ghiacciaio. Le conseguenze maggiori sono state inflitte ai ghiacciai vallivi di sbocco, che nel corso dell’ultimo secolo si sono ritirati di svariati chilometri, perdendo fra il 15% e il 50% del loro volume del 1890. Lo stesso bilancio di massa dell’intera calotta glaciale, che viene determinato annualmente attraverso il calcolo della differenza fra l’accumulo e la fusione di neve e ghiaccio, è negativo dal 1996, a esclusione dell’annata 2014/2015. Dal 1994 al 2016 il Vatnajökull ha perso 126 km3 di ghiaccio, pari al 4% del suo volume totale.
Un occhio, per analizzare le conseguenze attuali del cambiamento climatico, è certamente al passato, ma un altro, per stabilire gli scenari a venire, viene inevitabilmente proiettato al futuro. Oggi, i turisti che visitano l’Islanda si imbattono in laghi impossibili da immaginare solo un secolo fa e terre sempre più spoglie dai ghiacci. Nel 2100, e nel 2200, quali panorami si troveranno ad ammirare?
Se i modelli climatici sono ormai affidabili nel mostrare i possibili scenari globali futuri in vista dell’aumento della temperatura media del pianeta, nel determinare gli effetti del riscaldamento globale nelle diverse e specifiche aree della Terra, invece, il lavoro si complica. Gli scienziati, nelle analisi, si trovano a dover tenere in considerazione un elevato numero di differenti variabili per ogni singolo ambiente o area del pianeta, e fare delle previsioni accurate diventa un compito arduo. La natura dinamica del ghiacciaio Vatnajökull, nello specifico, lo rende estremamente sensibile ai mutamenti. Geotermia e attività vulcanica, inondazioni causate dalla presenza di laghi subglaciali e le differenze climatiche fra l’area meridionale e quella settentrionale del ghiacciaio sono solo alcuni dei fattori che rendono difficile stabilire con accuratezza il suo futuro.
La lingua di ghiaccio di Virkisjökull si origina direttamente dal ghiacciaio Öræfajökull, che ricopre l’omonimo grande vulcano islandese, e si colloca nell’estremità più meridionale del Vatnajökull. Anche questo ghiacciaio negli ultimi decenni ha subito i suoi più grandi cambiamenti a causa del riscaldamento globale. Alla sua base, infatti, è presente un piccolo lago proglaciale. Islanda. Marco Franchi, 2019.
Ma una certezza domina ogni previsione: l’aumento delle temperature causate dal riscaldamento globale. Se, come stimato dagli scienziati, le temperature medie in Islanda si alzeranno di circa 2 gradi nel corso del XXI secolo, entro la fine di questo secolo la calotta potrebbe perdere un quarto del suo volume attuale. I ghiacciai di sbocco meridionali, invece, fino all’80% del loro volume. Tuttavia, lo scenario più drammatico sarà quello che si presenterà dinanzi ai visitatori di un futuro non certo lontano. Entro il 2200 del Vatnajökull non resterà quasi più traccia. Saranno presenti solo esigui resti glaciali sulle sommità più alte del ghiacciaio.
E Jökulsárlón? La gita fra gli iceberg potrebbe durare ancora per un paio di secoli – su un lago sempre più grande – fino al completo ritiro del ghiacciaio che lo alimenta. L’acqua raggiungerà le montagne di Esjufjöll, svariati chilometri a nord dell’attuale fronte del ghiacciaio Breiðamerkurjökull. Nuovi laghi proglaciali, però, si formeranno dove oggi vi è soltanto spazio per l’immaginazione, lasciando alle generazioni del domani solo i ricordi impressi in fotografia di un passato recente ormai svanito. Turisti inconsapevoli saranno privati della bellezza di una terra magica, storicamente rappresentata come isola dell’incontro tra il fuoco e il ghiaccio. Di quest’ultimo elemento, però, potrebbero non trovare più nessuna traccia.